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del 27 aprile
Funzionari
ucraini ed europei hanno respinto alcune proposte statunitensi su
come porre fine al conflitto ucraino.
Ma
cos’è che dà tanto fastidio? Il riconoscimento alla Russia dei
territori sud-orientali che ha conquistato sul campo o che hanno
voluto passare sotto Mosca tramite regolari referendum? Queste non
sono cose che Putin potrà mettere nel negoziato. Se non vengono
riconosciute, la trattativa non parte neanche.
Peraltro
gli USA riconoscono de jure solo il possesso della Crimea; per
gli altri quattro territori (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e
Kherson) accettano solo un possesso de facto, dovuto alla
forza militare non al diritto dei referendum. Questa è una posizione
assolutamente ridicola, poiché implica che, appena l’Ucraina si
sarà ripresa militarmente, la guerra scoppierà di nuovo.
Mosca
non può accettare neppure che possa essere istituito,
preventivamente, un cessate il fuoco, e solo dopo l’avvio dei
negoziati. Ancora non s’è capito che la procedura dev’essere
invertita: prima l’occidente deve smettere di appoggiare
finanziariamente e militarmente Kiev, poi Kiev deve chiedere la resa,
e infine si stabilisce la divisione del territorio. In caso contrario
la guerra continuerà ad libitum e i russi prenderanno
sempre più territori, benché non siano interessati all’area
occidentale del Paese, a ovest del Dnepr. A meno che la NATO non
voglia entrarvi: in tal caso procederà a occupare anche questa parte
del Paese.
L’altra
assurda proposta americana prevede che l’Ucraina riconquisti il
territorio nella provincia di Kharkov (Kharkiv), che confina proprio
con le due regioni di Donetsk, Luhansk. Certo, così da lì, tra
qualche anno, i neonazisti potrebbero far ripartire il contrattacco.
Proprio non ci siamo. Quello che si è conquistato sul piano militare
non può essere ceduto in alcuna maniera. Neppure gli USA lo
farebbero. Non si capisce perché debba farlo la Russia.
Anche
l’idea stessa che gli USA si prendano il controllo della centrale
nucleare di Zaporizhzhia non sta né in cielo né in terra. È
inutile che Trump dica che è Zelensky a non volere la pace. È
altrettanto inutile che minacci la Russia di spiacevoli conseguenze
se non accetta proposte del genere. La pace non può essere ottenuta
pensando di fare un favore agli interessi economico-finanziari degli
USA, tanto meno se su un territorio già russo.
La
delegazione americana chiede anche che gli ucraini possano ottenere
un passaggio senza ostacoli lungo il fiume Dnepr, che arrivi sino al
controllo della costa di Kinburn, occupata dai russi sin dal maggio
2022. Così, di fatto, potranno accedere al Mar Nero da un territorio
già russo, osservando bene l’intera flotta russa e organizzando
degli attentati terroristici contro i russi, civili o militari che
siano. Anche questa è una proposta fantapolitica, che fa solo
perdere tempo. Peraltro proprio a Kinburn si svolse nel 1855 una
battaglia navale che i russi persero contro gli anglo-francesi
durante la guerra di Crimea. Non lo sanno gli occidentali che i russi
sono un popolo amante dei simboli?
Altra
proposta priva di qualunque prospettiva: la sicurezza dell’Ucraina
sarà garantita da Paesi europei e “altri Paesi amici” (?).
Ovviamente l’Ucraina non entrerà nella NATO ma potrà sempre
entrare nella UE. Si può essere più antidiplomatici di così? Come
può Mosca accettare una presenza militare europea, seppur con
funzioni di peacekeeping, quando in questo momento la UE viene
considerata l’ostacolo principale al raggiungimento della pace
(tant’è che non viene neppure ammessa in sede negoziale)?
Peraltro, essendo la UE quasi coincidente con la NATO, è evidente
che, se anche si assicura che l’Ucraina non entrerà nella NATO,
questa però entrerà in Ucraina.
E
che dire della proposta economica di Trump, relativa al fatto che
Washington e Kiev attueranno un accordo di cooperazione in materia di
minerali? In quali territori ciò avverrà se ancora non si sa come
sarà divisa l’Ucraina?
Insomma
l’unica cosa valida delle proposte americane riguarda la revoca
delle sanzioni e la ripresa della cooperazione economica in materia
di energia e altri settori industriali. Ecco, deve essere stata
questa cosa che agli statisti russofobici della UE non è andata a
genio. Per loro le sanzioni devono rimanere a tutti i costi e i
miliardi congelati alla Banca centrale della Russia vanno utilizzati
per ricostruire l’Ucraina.
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Ha
scritto Trump: “Putin non aveva motivo di lanciare missili contro
aree civili, città e paesi negli ultimi giorni. Questo mi fa pensare
che forse non vuole fermare la guerra, ma sta solo giocando con me e
che bisogna trattarlo in modo diverso, attraverso ‘operazioni
bancarie’ o ‘sanzioni secondarie’? Troppe persone stanno
morendo!”.
Trump
parla come un bambino viziato, capriccioso. Appena dice qualcosa,
pretende che gli altri si conformino ai suoi desiderata, come fossero
dei lacchè. Non capisce che Putin va trattato come suo pari. Non è
uno scolaretto che va punito per colpa di qualche marachella. Anche
perché potrebbe, se volesse, distruggere completamente l'Ucraina in
pochi giorni. E non ci sarebbe alcun Paese al mondo in grado di
fermarlo. Se non lo fa, è perché ha un certo senso dell'etica, è
lontanissimo dall'idea di terrorizzare i civili, tanto più che gli
ucraini sono strettamente imparentati coi russi. Lo sono da quando il
cristianesimo ortodosso ha messo le prime radici tra gli slavi
proprio in quel Paese. La Chiesa russa fa risalire le sue origini al
battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988. Per i russi non ha
alcun senso distruggere questa nazione. Sarebbe come cancellare la
propria memoria. Né possono farlo per far capire agli occidentali
che non hanno intenzione di scherzare. Non possono radere al suolo
Kiev per far capire agli euroamericani che devono smettere di
sostenere militarmente i neonazisti che governano il Paese.
Sono
in grado gli americani o gli europei di capire questa cosa? Sarebbero
disposti gli americani a bombardare a tappeto una città come Londra?
Le atomiche le hanno sganciate sui giapponesi perché li
consideravano una razza inferiore. Ma non l'avrebbero mai fatto sulla
Germania nazista, che pur non era meno feroce del Giappone.
A
volte ci si chiede: la von der Leyen, la Kallas, Borrell,
Stoltenberg, Rutte, Metsola, Macron, Starmer, Draghi, Meloni, Tajani
e tanti altri statisti e persone di spicco in Europa da dove vengono?
In quale pianeta vivono? Che studi hanno fatto? Hanno mai capito
qualcosa dei russi o degli slavi in generale? Riescono vagamente a
intuire che non hanno radici culturali identiche alle nostre?
Insomma
si fa una certa fatica a capire se Trump sia proprio limitato di suo,
o se sia impossibile aspettarsi che gli USA possano votare un
presidente migliore. Da come parla, sembra che gli americani non
sappiano nulla né di storia né di democrazia. Si esprimono come da
noi si potrebbe fare al bar o dal barbiere.
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Forse
non ci rendiamo bene conto che contro i russi, in una guerra
convenzionale, è impossibile vincere. È un territorio troppo
grande.
Hitler
infatti non pensava minimamente di occupare la sua area asiatica.
Sapeva benissimo di non averne le forze. Si sarebbe accontentato
dell’area europea, che per lui andava dal Mare di Barents al Mar
Nero. Semplicemente sperava che, occupando Mosca, l’intera URSS si
sarebbe arresa. Tuttavia quando si rese conto che Mosca non riusciva
a espugnarla, fece un errore che pagò caro: invece di attestarsi
sulle posizioni già acquisite, decise di occupare Stalingrado,
poiché gli facevano gola le riserve energetiche del Caucaso.
Forse
pochi sanno che il tentativo di conquistare questa città, gli costò
una sconfitta colossale: 1,5 milioni di uomini, tra morti, feriti e
arresi. Non si era mai vista una cosa del genere. Lo stesso Hitler fu
costretto a dichiarare il lutto nazionale nel febbraio 1943.
Nonostante
ciò non si arrese. Anzi, nel saliente di Kursk, fu organizzata una
gigantesca battaglia di carri armati: in tutto ve n’erano 1.200. I
nazisti erano convinti che i loro Tigre, Pantera e Ferdinand fossero
migliori, imbattibili. Invece fu un’altra tragedia: i tedeschi
persero un altro mezzo milione di uomini.
Sappiamo
tutti come andò a finire. I nazisti si arresero solo a Berlino. Ma,
prima di questa resa incondizionata, aveva già perso milioni di
militari. Sono cifre che nessuna “NATO” al mondo, per nessuna
ragione, potrebbe sopportare, nessun Paese occidentale sarebbe
disposto a sostenere, neanche se si preparasse alla guerra nell’arco
di una decina d’anni.
I
tedeschi iniziarono la guerra in Russia il 22 giugno 1941 e la
terminarono in Germania l’8 maggio 1945. Nessun esercito europeo o
americano sarebbe in grado di condurre una guerra così devastante
per un periodo così prolungato e con perdite così colossali. La
stessa Russia perse oltre 27 milioni di persone. L’intera Italia a
quel tempo arrivava a circa 45 milioni di abitanti. Immaginiamo cosa
possa voler dire che, finita la guerra, più di una persona attorno a
ognuno di noi è scomparsa.
Quando
la NATO attacca usa la tattica hitleriana della guerra-lampo. Questo
vuol dire che prepararsi per una guerra convenzionale di lungo
periodo, destinata ad avere perdite colossali, è una cosa che può
venire in mente solo a dei politici che non sanno nulla di questioni
militari. Al loro confronto i nostri generali sono delle menti
illuminate.
Dunque
una guerra contro la Russia può essere condotta solo sul piano
nucleare, col rischio però di tornare, nel migliore dei casi,
all’età della pietra.
L’occidente
ha provato a distruggere la Russia al tempo della guerra fredda,
usando propaganda, spionaggio e consumismo, e quasi vi era riuscito.
Ma con Putin la musica è cambiata. I russi se lo ricorderanno nei
secoli a venire.
La
Russia non ha solo infinite riserve sul piano energetico, ma anche
grandi capacità di riscatto sociale, di orgoglio nazionale, di
tenuta morale, di spirito collettivistico, di sopportazione dei
sacrifici che noi in Europa (ma diciamo pure nell’occidente
collettivo) abbiamo perduto dopo molti secoli di vita borghese.
Tenere
in allarme le popolazioni europee può voler dire solo una cosa: gli
statisti, e naturalmente tutte le oligarchie che loro rappresentano,
essendo profondamente corrotti, si stanno preparando a sostituire la
democrazia formale con una dittatura reale. La Russia servirà solo
come pretesto, proprio perché nessuna dittatura ha senso se non vi è
un pericoloso nemico da sconfiggere. E gli Stati Uniti faranno lo
stesso con la Cina, tanto tra europei e americani ci s’intende.
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In
Italia il mainstream ha taciuto del fatto che Zoran Milanović
ha trionfato nel secondo turno delle elezioni presidenziali croate,
tenutesi lo scorso 12 gennaio, venendo confermato alla guida del
Paese per un altro mandato quinquennale (il regime però è
parlamentare non presidenziale, e sia il parlamento che il governo
restano sotto il controllo del centro-destra, apertamente
filo-atlantista).
Aveva
avuto un risultato schiacciante: il 74,68% dei voti, contro il 25,32%
raccolto dal suo avversario, Dragan Primorac, candidato sostenuto
dall’Unione Democratica Croata, formazione di centro-destra che fa
capo al premier Andrej Plenković, e che è stata oggetto di numerosi
scandali di corruzione, tant’è che al tempo del suo primo mandato,
anche grazie alle sue denunce, ben 30 ministri furono costretti a
dimettersi.
La
vittoria è stata snobbata perché rappresenta un segnale politico
che vede sempre più popoli europei votare contro le politiche
militariste della NATO e dell’Unione Europea.
Già
durante il suo primo mandato Milanović (sostenuto dalle forze di
centro-sinistra e in particolare dal partito socialdemocratico) aveva
bloccato l’invio di ufficiali croati alla missione NATO in Germania
per la formazione di truppe ucraine e aveva promesso che nessun
soldato croato avrebbe partecipato a missioni in Ucraina.
Milanović
ha sottolineato l’importanza di proteggere il Paese dall’essere
“trascinato in guerra” e ha ribadito che il suo obiettivo è
mantenere una posizione equilibrata che tenga conto degli interessi
nazionali, piuttosto che seguire ciecamente i diktat di Bruxelles e
Washington.
Insomma
sarebbe una gran cosa se nella UE si cominciassero a premiare dei
politici o degli statisti che promuovono una visione più
indipendente della politica estera, opponendosi all’interventismo
militare.