30 apr 2025

 Eredi peggiori

Chi ha ereditato l'impero britannico? L'impero di quell'isola che i Romani non riuscirono mai a conquistare integralmente? Quell'isola che intorno al Mille fu conquistata dai pirati Normanni? Quell'isola che nel sec. XVII fece una rivoluzione borghese con cui seppe porre fine, internamente, al dominio dell'aristocrazia terriera e, esternamente, al colonialismo olandese? Quell'isola che conquistò un impero più grande di quello di Gengis Khan?

Sono stati gli Stati Uniti. Sono stati loro che, con la loro talassocrazia, hanno ampliato quell'impero anglofono usando non solo le armi, ma anche e soprattutto la potenza della loro moneta, l'ideologia di un liberismo assoluto, l'illusione del consumismo di massa, l'individualismo esasperato, il mito della tecnologia onnipotente. Sono stati gli americani a farci sentire il mondo un “villaggio globale”.

E il Regno Unito che fine ha fatto? Quello dell'attore comprimario. E tutti gli altri europei? Essendosi autodistrutti nell'ultima guerra mondiale, possono al massimo pretendere di fare da controfigura o da stuntman. L'intera Europa ha accettato di essere dominata dagli americani. Nessun Paese europeo può fare più nulla che gli USA non vogliano.

Ma in questo momento chi si oppone di più a questa obsoleta anglosfera, che impedisce al mondo di crescere, di svilupparsi, di trovare pace sicurezza stabilità? Sono due i Paesi più importanti. Non ce ne sono altri in questo momento. È con Russia e Cina che tutti gli altri Paesi del mondo devono in qualche modo allearsi per liberarsi da questo incubo. Deve essere una liberazione collettiva. Ognuno deve fare la sua parte, perché qui, al nostro cospetto, non vi è una semplice dittatura nazionale, come poteva essere quella nazista, ma abbiamo a che fare con un impero che vanta un dominio mondiale. Nessuno può permettersi il lusso di guardare dalla finestra, non tanto perché si faranno guerre apocalittiche, quanto perché i poteri dominanti, sfruttando questa paura, elimineranno gli ultimi residui della democrazia rappresentativa.


29 apr 2025

 

NEWS del 29 aprile 2025


Kim Jong-un ha descritto la partecipazione dei soldati nordcoreani ai combattimenti nella regione di Kursk come una “missione sacra”. A Pyongyang verrà eretto un monumento in loro onore.

Qui bisognerebbe chiarire che non erano “mercenari”, come quelli che assolda Kiev per combattere i russi. Infatti erano stati inviati in conformità con le disposizioni del Trattato di partenariato strategico globale tra le due nazioni.

Ci rendiamo conto di questo cosa vuol dire? Primo: la Russia non vuole mercenari che combattano per sé; secondo: i nordcoreani non hanno combattuto in Ucraina ma in un territorio russo occupato dagli ucraini (criticarli per questo, da parte dell’occidente, non ha senso); terzo: quando sono “globali” gli accordi di “partenariato strategico” includono una piena intesa militare; quarto: l’intesa prevede un aiuto reciproco di tipo militare, quando uno dei due Paesi viene attaccato da Paesi terzi; quinto: l’aiuto non viene concesso automaticamente, ma va richiesto in caso di necessità (cioè non ha l’automatismo tipico della NATO, che toglie ai governi alleati il diritto di poter decidere se intervenire o meno quanto un loro Stato viene attaccato).

Scommettiamo che questo stesso trattato verrà firmato anche dall’Iran? E che, finita la guerra in Ucraina con una Russia vittoriosa, molti altri Stati chiederanno di fare la stessa cosa?

Qui bisogna mettersi bene in testa una verità piuttosto evidente: la Russia di Putin non è l’URSS stalinista. Non ha alcun interesse a esportare il cosiddetto “socialismo reale”, non vuole porsi come potenza ideologica. Potrà non piacere ai cultori del “socialismo scientifico”, ma in questo momento sta cercando di far capire che la democrazia potrebbe essere realizzata semplicemente avendo un minimo di “buon senso” e di “razionalità”. Che poi, se sulla base di tali valori sarà davvero possibile realizzare la democrazia, sarà la storia a deciderlo. Ma in questo momento è infinitamente di più di quanto l’occidente collettivo ha da offrire.


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Le maggiori banche russe sanzionate hanno creato un sistema di compensazione denominato “Chinese Track”. Praticamente servirà per ridurre la visibilità delle transazioni finanziarie con la Cina agli occhi delle autorità di regolamentazione occidentali, diminuendo drasticamente il rischio di sanzioni secondarie.

Forse non ci rendiamo bene conto che tutte le sanzioni occidentali stanno diventando un’occasione per creare un sistema commerciale e finanziario del tutto indipendente dai circuiti e meccanismi occidentali. Basta avere la volontà di farlo, e Cina e Russia non hanno problemi di sorta, e tutto funziona perfettamente.

Prima le migliaia di sanzioni alla Russia, ora le tariffe daziarie iperboliche alla Cina: ogni giorno che passa si ha sempre più l’impressione che noi occidentali siamo assolutamente ridicoli. L’esibizione muscolare della nostra potenza somiglia a quella dei palestrati che assumono steroidi anabolizzanti. Non solo, ma tutto quello che facciamo si ritorce inevitabilmente e pesantemente contro i nostri stessi interessi. Il bello è che l’economia capitalistica l’abbiamo inventata noi, non i russi o i cinesi.

28 apr 2025

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NEWS del 28 aprile 2025


In questa guerra russo-ucraina l’atteggiamento più curioso degli occidentali (americani ed europei in primis) è la totale incapacità ad ammettere che la Russia sul piano militare è più forte dell’intero occidente collettivo.

Sono passati oltre tre anni e non c’è stato neanche un momento in cui le forze armate russe abbiamo mostrato che in una guerra di logoramento avrebbero potuto essere sconfitte.

La guerra è rimasta sul piano convenzionale (per fortuna, bisogna dire) e la NATO l’ha persa. La Russia ha saputo tener testa, da sola, a 32 Paesi! Non solo, ma, mentre vinceva sul piano militare, si riorganizzava su quello economico-finanziario, affrontando con successo le mille sanzioni occidentali, il congelamento di 300 miliardi di dollari della propria Banca centrale, e persino contribuendo alla creazione di un mondo multipolare e di una mastodontica organizzazione come quella dei BRICS, per non parlare delle nuove relazioni stabilite con quei Paesi africani che vogliono liberarsi del colonialismo europeo.

Dunque, a questo punto, l’occidente cos’ha intenzione di fare? Vuol fare intervenire direttamente la NATO nel conflitto, mantenendolo sul piano convenzionale? Vuole trasformarlo da convenzionale a nucleare? Prima di scendere in campo esplicitamente vuole investire miliardi di capitali nel riarmo? Al momento sembra che stia chiedendo all’Ucraina di resistere il più possibile, cioè il tempo sufficiente affinché la NATO si riarmi per bene e che possa dichiarare guerra alla Russia con un esercito numericamente non inferiore a quello russo. Ma può l’Ucraina resistere altri 3-4-5 anni?

Diciamo questo perché, a leggere le proposte di pace americane ed europee, appare chiaro che non esiste un vero negoziato risolutivo. Alla Russia si chiede soltanto di retrocedere dai territori conquistati. Sul piano giuridico le si riconosce solo la Crimea. Tutti gli altri territori vengono riconosciuti di pertinenza russa solo pro tempore, nel senso che se è vero che al momento li hanno conquistati militarmente, è anche possibile che li perdano in un prossimo futuro.

Si pretende, come base di partenza per una trattativa, la fine delle ostilità, cioè l’occidente pretende una cosa come se sul campo di battaglia fosse lui a vincere. Infatti parla di un cessate il fuoco totale e incondizionato in cielo, a terra e in mare, e che il rispetto di questo ceasefire sarà monitorato dagli Stati Uniti e sostenuto da Paesi terzi, i quali non possono essere disarmati.

Un’Unione Europea altamente belligerante e perdente chiede alla Russia come deve regolarsi nelle trattative di pace. Mi chiedo se nella storia delle guerre del genere umano si sia mai vista una cosa del genere. Sembriamo un chihuahua che abbaia a un rottweiler.


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Ammettiamo una cosa inconfutabile: dai tempi dell’espansione della NATO verso est l’occidente non ha mai fatto una proposta relativa alla sicurezza generale del continente europeo, valida per tutti i Paesi che lo compongono.

Altra verità lapalissiana è che la Russia non è solo un Paese asiatico, ma anche europeo. E la sua sicurezza esistenziale non può essere decisa dagli USA, dalla UE o dalla NATO. Va decisa, come minimo, in una conferenza europea, se non internazionale, visto che non si potrebbero escludere gli Stati Uniti.

Ma poi, pensiamoci bene, considerando che i commerci si svolgono a livello mondiale, come potrebbe essere esclusa da una conferenza del genere un Paese come la Cina? Chi più di lei avrebbe bisogno che nel continente europeo fosse garantita una pace di lunga durata? Un Paese che investe centinaia di miliardi nelle infrastrutture solo per potersi espandere commercialmente nel mondo, ha bisogno come il pane di sicurezza e stabilità.

Ebbene, in Europa non ci sono neanche le basi minime per assicurare la pace nel continente. E non possiamo credere che tale pace possa essere garantita dalle sceneggiate clownesche di Trump.


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Non facciamoci illusioni. Stiamo sì assistendo, in tempo reale, alla fine del capitalismo occidentale, ma non a quella del capitalismo in sé. Si tratta solo di un passaggio di testimone da una forma a un’altra.

Nella storia del genere umano queste transizioni sono eventi naturali, anche se per lo più avvengono in maniera cruenta, poiché, quando si costruiscono potenti società schiavistiche (e anche la nostra lo è, seppure il salariato è giuridicamente libero), non piace morire nel proprio letto: si preferisce combattere il più possibile.

Si pensi al passaggio dalla civiltà greca a quella romana, che rappresentavano due forme di schiavismo privato, con la differenza che uno era basato sull’autonomia delle città-stato, che alla bisogna si univano tra loro per formare delle leghe, mentre l’altro faceva del diritto, della cittadinanza, dell’impero e del suo principe qualcosa di universale.

Lo schiavismo statale era invece rappresentato da Egitto e Persia, che nulla poterono contro i Romani, il primo, e contro i Greci, la seconda.

I Romani erano affascinati dalla cultura greca, ma questo non gli impedì di dominarli fino a quando Costantino non decise di trasferire la capitale dell’impero a Bisanzio, favorendo così un’altra epocale transizione, quella dal paganesimo al cristianesimo.

Oggi sta avvenendo la stessa cosa: Russia e Cina, dopo aver ammesso la superiorità occidentale sul piano tecnico-scientifico, ora ci stanno facendo vedere di sentirsi superiori: l’una sul piano militare, l’altra su quello economico, ed entrambe contro l’intero occidente collettivo.

Smettiamola però con le infatuazioni, con gli entusiasmi da stadio. Sempre capitalismo è. E non diventa più umano o più democratico solo perché l’iniziativa produttiva e commerciale è controllata dallo Stato; o solo perché, come succede in Cina, il capitale viene schermato o circonfuso ideologicamente dalle dottrine del socialismo scientifico, seppur con caratteristiche atipiche.

Diciamo solo che in questo momento noi occidentali dobbiamo abbassare la cresta e guardare le cose da un angolo. Anzi, se fossimo davvero intelligenti, come nel passato abbiamo dimostrato in tanti campi dello scibile umano, dovremmo iniziare a cercare qualcosa che vada oltre i soliti criteri del profitto industriale o della rendita finanziaria, che noi stessi peraltro abbiamo inventato. E questo naturalmente senza ripetere gli errori del socialismo statalizzato.

27 apr 2025

 

NEWS del 27 aprile


Funzionari ucraini ed europei hanno respinto alcune proposte statunitensi su come porre fine al conflitto ucraino.

Ma cos’è che dà tanto fastidio? Il riconoscimento alla Russia dei territori sud-orientali che ha conquistato sul campo o che hanno voluto passare sotto Mosca tramite regolari referendum? Queste non sono cose che Putin potrà mettere nel negoziato. Se non vengono riconosciute, la trattativa non parte neanche.

Peraltro gli USA riconoscono de jure solo il possesso della Crimea; per gli altri quattro territori (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson) accettano solo un possesso de facto, dovuto alla forza militare non al diritto dei referendum. Questa è una posizione assolutamente ridicola, poiché implica che, appena l’Ucraina si sarà ripresa militarmente, la guerra scoppierà di nuovo.

Mosca non può accettare neppure che possa essere istituito, preventivamente, un cessate il fuoco, e solo dopo l’avvio dei negoziati. Ancora non s’è capito che la procedura dev’essere invertita: prima l’occidente deve smettere di appoggiare finanziariamente e militarmente Kiev, poi Kiev deve chiedere la resa, e infine si stabilisce la divisione del territorio. In caso contrario la guerra continuerà ad libitum e i russi prenderanno sempre più territori, benché non siano interessati all’area occidentale del Paese, a ovest del Dnepr. A meno che la NATO non voglia entrarvi: in tal caso procederà a occupare anche questa parte del Paese.

L’altra assurda proposta americana prevede che l’Ucraina riconquisti il territorio nella provincia di Kharkov (Kharkiv), che confina proprio con le due regioni di Donetsk, Luhansk. Certo, così da lì, tra qualche anno, i neonazisti potrebbero far ripartire il contrattacco. Proprio non ci siamo. Quello che si è conquistato sul piano militare non può essere ceduto in alcuna maniera. Neppure gli USA lo farebbero. Non si capisce perché debba farlo la Russia.

Anche l’idea stessa che gli USA si prendano il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia non sta né in cielo né in terra. È inutile che Trump dica che è Zelensky a non volere la pace. È altrettanto inutile che minacci la Russia di spiacevoli conseguenze se non accetta proposte del genere. La pace non può essere ottenuta pensando di fare un favore agli interessi economico-finanziari degli USA, tanto meno se su un territorio già russo.

La delegazione americana chiede anche che gli ucraini possano ottenere un passaggio senza ostacoli lungo il fiume Dnepr, che arrivi sino al controllo della costa di Kinburn, occupata dai russi sin dal maggio 2022. Così, di fatto, potranno accedere al Mar Nero da un territorio già russo, osservando bene l’intera flotta russa e organizzando degli attentati terroristici contro i russi, civili o militari che siano. Anche questa è una proposta fantapolitica, che fa solo perdere tempo. Peraltro proprio a Kinburn si svolse nel 1855 una battaglia navale che i russi persero contro gli anglo-francesi durante la guerra di Crimea. Non lo sanno gli occidentali che i russi sono un popolo amante dei simboli?

Altra proposta priva di qualunque prospettiva: la sicurezza dell’Ucraina sarà garantita da Paesi europei e “altri Paesi amici” (?). Ovviamente l’Ucraina non entrerà nella NATO ma potrà sempre entrare nella UE. Si può essere più antidiplomatici di così? Come può Mosca accettare una presenza militare europea, seppur con funzioni di peacekeeping, quando in questo momento la UE viene considerata l’ostacolo principale al raggiungimento della pace (tant’è che non viene neppure ammessa in sede negoziale)? Peraltro, essendo la UE quasi coincidente con la NATO, è evidente che, se anche si assicura che l’Ucraina non entrerà nella NATO, questa però entrerà in Ucraina.

E che dire della proposta economica di Trump, relativa al fatto che Washington e Kiev attueranno un accordo di cooperazione in materia di minerali? In quali territori ciò avverrà se ancora non si sa come sarà divisa l’Ucraina?

Insomma l’unica cosa valida delle proposte americane riguarda la revoca delle sanzioni e la ripresa della cooperazione economica in materia di energia e altri settori industriali. Ecco, deve essere stata questa cosa che agli statisti russofobici della UE non è andata a genio. Per loro le sanzioni devono rimanere a tutti i costi e i miliardi congelati alla Banca centrale della Russia vanno utilizzati per ricostruire l’Ucraina.


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Ha scritto Trump: “Putin non aveva motivo di lanciare missili contro aree civili, città e paesi negli ultimi giorni. Questo mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, ma sta solo giocando con me e che bisogna trattarlo in modo diverso, attraverso ‘operazioni bancarie’ o ‘sanzioni secondarie’? Troppe persone stanno morendo!”.

Trump parla come un bambino viziato, capriccioso. Appena dice qualcosa, pretende che gli altri si conformino ai suoi desiderata, come fossero dei lacchè. Non capisce che Putin va trattato come suo pari. Non è uno scolaretto che va punito per colpa di qualche marachella. Anche perché potrebbe, se volesse, distruggere completamente l'Ucraina in pochi giorni. E non ci sarebbe alcun Paese al mondo in grado di fermarlo. Se non lo fa, è perché ha un certo senso dell'etica, è lontanissimo dall'idea di terrorizzare i civili, tanto più che gli ucraini sono strettamente imparentati coi russi. Lo sono da quando il cristianesimo ortodosso ha messo le prime radici tra gli slavi proprio in quel Paese. La Chiesa russa fa risalire le sue origini al battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988. Per i russi non ha alcun senso distruggere questa nazione. Sarebbe come cancellare la propria memoria. Né possono farlo per far capire agli occidentali che non hanno intenzione di scherzare. Non possono radere al suolo Kiev per far capire agli euroamericani che devono smettere di sostenere militarmente i neonazisti che governano il Paese.

Sono in grado gli americani o gli europei di capire questa cosa? Sarebbero disposti gli americani a bombardare a tappeto una città come Londra? Le atomiche le hanno sganciate sui giapponesi perché li consideravano una razza inferiore. Ma non l'avrebbero mai fatto sulla Germania nazista, che pur non era meno feroce del Giappone.

A volte ci si chiede: la von der Leyen, la Kallas, Borrell, Stoltenberg, Rutte, Metsola, Macron, Starmer, Draghi, Meloni, Tajani e tanti altri statisti e persone di spicco in Europa da dove vengono? In quale pianeta vivono? Che studi hanno fatto? Hanno mai capito qualcosa dei russi o degli slavi in generale? Riescono vagamente a intuire che non hanno radici culturali identiche alle nostre?

Insomma si fa una certa fatica a capire se Trump sia proprio limitato di suo, o se sia impossibile aspettarsi che gli USA possano votare un presidente migliore. Da come parla, sembra che gli americani non sappiano nulla né di storia né di democrazia. Si esprimono come da noi si potrebbe fare al bar o dal barbiere.


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Forse non ci rendiamo bene conto che contro i russi, in una guerra convenzionale, è impossibile vincere. È un territorio troppo grande.

Hitler infatti non pensava minimamente di occupare la sua area asiatica. Sapeva benissimo di non averne le forze. Si sarebbe accontentato dell’area europea, che per lui andava dal Mare di Barents al Mar Nero. Semplicemente sperava che, occupando Mosca, l’intera URSS si sarebbe arresa. Tuttavia quando si rese conto che Mosca non riusciva a espugnarla, fece un errore che pagò caro: invece di attestarsi sulle posizioni già acquisite, decise di occupare Stalingrado, poiché gli facevano gola le riserve energetiche del Caucaso.

Forse pochi sanno che il tentativo di conquistare questa città, gli costò una sconfitta colossale: 1,5 milioni di uomini, tra morti, feriti e arresi. Non si era mai vista una cosa del genere. Lo stesso Hitler fu costretto a dichiarare il lutto nazionale nel febbraio 1943.

Nonostante ciò non si arrese. Anzi, nel saliente di Kursk, fu organizzata una gigantesca battaglia di carri armati: in tutto ve n’erano 1.200. I nazisti erano convinti che i loro Tigre, Pantera e Ferdinand fossero migliori, imbattibili. Invece fu un’altra tragedia: i tedeschi persero un altro mezzo milione di uomini.

Sappiamo tutti come andò a finire. I nazisti si arresero solo a Berlino. Ma, prima di questa resa incondizionata, aveva già perso milioni di militari. Sono cifre che nessuna “NATO” al mondo, per nessuna ragione, potrebbe sopportare, nessun Paese occidentale sarebbe disposto a sostenere, neanche se si preparasse alla guerra nell’arco di una decina d’anni.

I tedeschi iniziarono la guerra in Russia il 22 giugno 1941 e la terminarono in Germania l’8 maggio 1945. Nessun esercito europeo o americano sarebbe in grado di condurre una guerra così devastante per un periodo così prolungato e con perdite così colossali. La stessa Russia perse oltre 27 milioni di persone. L’intera Italia a quel tempo arrivava a circa 45 milioni di abitanti. Immaginiamo cosa possa voler dire che, finita la guerra, più di una persona attorno a ognuno di noi è scomparsa.

Quando la NATO attacca usa la tattica hitleriana della guerra-lampo. Questo vuol dire che prepararsi per una guerra convenzionale di lungo periodo, destinata ad avere perdite colossali, è una cosa che può venire in mente solo a dei politici che non sanno nulla di questioni militari. Al loro confronto i nostri generali sono delle menti illuminate.

Dunque una guerra contro la Russia può essere condotta solo sul piano nucleare, col rischio però di tornare, nel migliore dei casi, all’età della pietra.

L’occidente ha provato a distruggere la Russia al tempo della guerra fredda, usando propaganda, spionaggio e consumismo, e quasi vi era riuscito. Ma con Putin la musica è cambiata. I russi se lo ricorderanno nei secoli a venire.

La Russia non ha solo infinite riserve sul piano energetico, ma anche grandi capacità di riscatto sociale, di orgoglio nazionale, di tenuta morale, di spirito collettivistico, di sopportazione dei sacrifici che noi in Europa (ma diciamo pure nell’occidente collettivo) abbiamo perduto dopo molti secoli di vita borghese.

Tenere in allarme le popolazioni europee può voler dire solo una cosa: gli statisti, e naturalmente tutte le oligarchie che loro rappresentano, essendo profondamente corrotti, si stanno preparando a sostituire la democrazia formale con una dittatura reale. La Russia servirà solo come pretesto, proprio perché nessuna dittatura ha senso se non vi è un pericoloso nemico da sconfiggere. E gli Stati Uniti faranno lo stesso con la Cina, tanto tra europei e americani ci s’intende.


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In Italia il mainstream ha taciuto del fatto che Zoran Milanović ha trionfato nel secondo turno delle elezioni presidenziali croate, tenutesi lo scorso 12 gennaio, venendo confermato alla guida del Paese per un altro mandato quinquennale (il regime però è parlamentare non presidenziale, e sia il parlamento che il governo restano sotto il controllo del centro-destra, apertamente filo-atlantista).

Aveva avuto un risultato schiacciante: il 74,68% dei voti, contro il 25,32% raccolto dal suo avversario, Dragan Primorac, candidato sostenuto dall’Unione Democratica Croata, formazione di centro-destra che fa capo al premier Andrej Plenković, e che è stata oggetto di numerosi scandali di corruzione, tant’è che al tempo del suo primo mandato, anche grazie alle sue denunce, ben 30 ministri furono costretti a dimettersi.

La vittoria è stata snobbata perché rappresenta un segnale politico che vede sempre più popoli europei votare contro le politiche militariste della NATO e dell’Unione Europea.

Già durante il suo primo mandato Milanović (sostenuto dalle forze di centro-sinistra e in particolare dal partito socialdemocratico) aveva bloccato l’invio di ufficiali croati alla missione NATO in Germania per la formazione di truppe ucraine e aveva promesso che nessun soldato croato avrebbe partecipato a missioni in Ucraina.

Milanović ha sottolineato l’importanza di proteggere il Paese dall’essere “trascinato in guerra” e ha ribadito che il suo obiettivo è mantenere una posizione equilibrata che tenga conto degli interessi nazionali, piuttosto che seguire ciecamente i diktat di Bruxelles e Washington.

Insomma sarebbe una gran cosa se nella UE si cominciassero a premiare dei politici o degli statisti che promuovono una visione più indipendente della politica estera, opponendosi all’interventismo militare.

26 apr 2025

 

NEWS del 26 aprile


Il 22 aprile nella regione del Kashmir indiano, un gruppo di 26 turisti è stato ucciso, tra cui cittadini provenienti da India e Nepal. Il crimine è stato rivendicato da Resistance Front, una fazione legata al gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba.

L’India ha reagito bloccando le chiuse del fiume Indo verso il Pakistan. Islamabad considera questa violazione dell’approvvigionamento idrico come un “atto di guerra”.

Per entrambi i Paesi il bacino dell’Indo è una fonte d’acqua vitale per l’agricoltura: un accordo del 1960 regolava la distribuzione di ben sei fiumi.

L’India ha già annunciato l’espulsione di tutti i pakistani cittadini e degli ambasciatori, la cancellazione dei loro visti e la chiusura della frontiera con quel Paese. Sta pensando anche di abolire l’accordo di cessate il fuoco del 2021.

In tutto il Pakistan si stanno verificando proteste anti-indiane: la folla grida “La guerra continuerà finché il Kashmir non sarà liberato”. Il Kashmir è una regione suddivisa tra India, Cina e Pakistan, sempre fonte di tensioni sin dalla fine dell’India britannica nel 1947. Dopo l’abolizione dello status speciale del Jammu e Kashmir nel 2019, l’India ha intensificato i suoi sforzi per integrare la regione.

Il governo pakistano ha chiuso il suo spazio aereo alle compagnie aeree indiane; ha sospeso tutti i trattati bilaterali, compreso l’accordo di Simla del 1972 sulla linea di controllo.

Si ricorda che entrambe sono potenze nucleari: le atomiche indiane sono 180; quelle pakistane 170. L’esercito indiano è più del doppio di quello pakistano.

Da dove nasce questo improvviso conflitto? Dal fatto che gli USA stanno provocando un’altra guerra per procura su larga scala lungo la rotta delle merci cinesi verso l’Europa e del petrolio mediorientale verso la Cina. Infatti l’escalation è avvenuta subito dopo la visita del vicepresidente statunitense Vance in India. L’ingenuo presidente Modi è convinto di avere l’appoggio americano in caso di conflitti con Cina o Pakistan.

Il Pakistan è l’alleato militare più vicino a Pechino (è il maggiore acquirente di armi cinesi) e la Cina è il principale partner commerciale del Pakistan.

Il Pakistan rappresenta per la Cina un ponte sicuro verso il petrolio iraniano (anche Teheran è vicina a Islamabad): un ponte che Stati Uniti e India potrebbero non consentire di attraversare via mare se il confronto tra Cina e USA raggiungesse un nuovo livello.

Naturalmente queste tensioni servono anche a Washington per indurre Pechino a essere più accomodante nei negoziati sui dazi.


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Zelensky dimostra sempre più di non avere contezza di ciò che afferma. Infatti continua a ribadire che solo il popolo ucraino decide il destino dei propri territori.

Tutti i territori temporaneamente occupati, tra cui la Crimea, sono ancora considerati ucraini in conformità con la Costituzione e il diritto internazionale.

Ha poi aggiunto che le questioni territoriali potranno essere discusse solo dopo un cessate il fuoco incondizionato. Allo stesso tempo, ha riconosciuto che Kiev non ha armi sufficienti per riconquistare la Crimea, ma che esistono sanzioni e strumenti diplomatici.

Zelensky ha affermato che l’Ucraina conta sul sostegno degli Stati Uniti, così come fa Israele: ciò potrebbe includere la difesa informatica, i sistemi di difesa aerea e lo sviluppo delle infrastrutture, senza la presenza obbligatoria dell’esercito americano.

Questo presidente il cui mandato è scaduto dall’aprile 2024, ha uno strano modo di ragionare.

Non si rende conto che parte del suo popolo ha già deciso di voler stare sotto la Russia. Lo dimostrano vari referendum: quello del 2014 in Crimea e Sebastopoli; quello del 2022 a Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson.

Hanno un valore i referendum per la secessione o l’indipendenza oppure no?

Questa guerra in Ucraina sembra essere un conflitto non tanto tra Ucraina e Russia o tra NATO e Russia, quanto tra Stato centrale di Kiev e regioni periferiche espresse da minoranze nazionali. Se una minoranza chiede di separarsi completamente da un potere centrale, significa che ci sono motivi gravissimi, altrimenti non lo farebbe.

Che senso ha impedire alle proprie minoranze nazionali di chiedere aiuto alla Russia quando il governo centrale si avvale dell’aiuto dell’occidente collettivo per reprimerle? Anzi il governo golpista di Kiev è frutto del sostegno euroamericano, e senza questo sostegno non ci sarebbe stata una guerra civile, durata ben 8 anni, contro la propria minoranza russofona.

D’altronde in Ucraina è dal 2019 che non si fanno più elezioni. Cosa può sapere Zelensky degli orientamenti politici del suo popolo, che peraltro dal 2022 ad oggi si è ridotto a 33 milioni di abitanti, rispetto ai 41 d’anteguerra?

Ben 11 partiti sono stati messi al bando e centinaia di oppositori si trovano in carcere. Il governo di Kiev è solo una dittatura che lo stesso popolo ucraino dovrebbe abbattere a prescindere dall’adesione o meno alla Federazione Russa.

Immaginiamo cosa potrebbe accadere in Estonia o in Lettonia, se i governi centrali fossero altamente russofobici come quello ucraino. Là il 25% è di origine russa. Inevitabilmente si rischierebbe un replay.


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Durissima Maria Zakharova contro il Segretariato dell’ONU. In genere è più diplomatica. Ha detto:

Sin dal colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, il Segretariato delle Nazioni Unite ha costantemente perseguito una politica di “doppi standard” riguardo agli eventi in Ucraina.

Non abbiamo ricevuto alcuna critica dai rappresentanti del Segretariato nei confronti dei sostenitori di Maidan, mentre il regime di Kiev ha condotto una vera e propria guerra contro i cittadini delle regioni orientali di quella che allora era l’Ucraina per oltre 8 anni.

Non vi sono state richieste da parte dei rappresentanti dell’ONU di un dialogo diretto tra Kiev e il Donbass, come previsto dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, che ha approvato il pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk.

Per i rappresentanti dell’ONU è diventata la norma ignorare sistematicamente le palesi violazioni da parte del regime di Kiev delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale, tra cui:

- l’uso di civili come “scudi umani”,

- lo spiegamento di equipaggiamento militare e l’istituzione di postazioni di tiro nelle zone residenziali,

- tortura e maltrattamenti di prigionieri di guerra e civili,

- uccisioni mirate di civili.

Quando si verificarono la “messa in scena di Bucha” e i tragici eventi alla stazione ferroviaria di Kramatorsk nell’aprile 2022; durante l’evacuazione dei civili dalla zona di “Azovstal” nel maggio 2022; dopo l’attacco terroristico al ponte di Crimea nell’ottobre 2022; quando il mondo intero fu testimone dei crimini disumani della cricca di Kiev contro la popolazione civile nella regione di Kursk in seguito all’invasione delle forze ucraine nell’agosto 2024; dopo gli omicidi mirati di giornalisti russi che prestavano servizio sia al fronte che sul territorio russo, nessuno del Segretariato dell’ONU tentò di notare nulla.

Viceversa, osserviamo regolarmente come la parte russa venga accusata di presunti attacchi deliberati alle infrastrutture civili ed energetiche dell’Ucraina. Un esempio recente sono i commenti del portavoce del Segretario generale, Stéphane Dujarric, in merito agli eventi di aprile nella città di Sumy, con considerazioni e finzioni su... una serie di attacchi alle città ucraine che “hanno provocato vittime tra la popolazione civile e una massiccia distruzione”.

Il Segretario generale si è compromesso con una serie di dichiarazioni valutative parziali sulla volontà della popolazione nelle regioni di Zaporižžja e Kherson, così come nelle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Secondo lui, “la decisione di annettere le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Kherson non avrà alcun valore legale” e anzi “merita di essere condannata”.

Gli attuali funzionari dell’ONU dimenticano che il loro ruolo è quello di agire come custodi dei princìpi della Carta nella loro interezza, complessità e interrelazione.

Per noi è ovvio che il comportamento del Segretario generale e dei suoi subordinati è completamente incompatibile con l’essenza, la formulazione e lo spirito dell’art. 100 della Carta dell’ONU, che richiede al personale del Segretariato di rispettare il principio di imparzialità, inclusa la necessità di “astenersi da qualsiasi azione che possa influire negativamente sulla loro posizione di funzionari internazionali che sono responsabili solo nei confronti dell’Organizzazione”.

Le azioni e le dichiarazioni del Segretario generale non sono conformi all’art. 97 della Carta dell’ONU, che gli assegna il ruolo di “capo amministrativo dell’Organizzazione”. Tali funzioni non garantiscono al capo del Segretariato il diritto di rilasciare dichiarazioni politiche impegnate a nome dell’intera Organizzazione e di interpretare le norme della Carta e i documenti dell’Assemblea Generale.

In questo contesto è quasi strano parlare di un possibile ruolo di mediazione del Segretariato nella crisi ucraina.

Insomma da queste dichiarazioni così nette pare evidente che la Russia abbia intenzione di ripensare seriamente la funzione dell’ONU, o quanto meno di rimettere in discussione la credibilità del suo Segretariato.


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Zelensky può avere la pace adesso o combattere per altri tre anni prima di perdere l’intero Paese”, ha tuonato Trump.

Però è comodo scaricare tutto su Zelensky. Inutile che Trump dica che questa non è la sua guerra ma quella di Biden. Questa è la guerra voluta dagli USA, di cui Trump è presidente. Il golpe del 2014 l’hanno organizzato loro, con prove evidenti.

Zelensky, come tanti altri nazionalisti e neonazisti ucraini, sono stati gli ingenui di turno che han creduto alle sirene occidentali, quando queste promettevano una facile vittoria contro la Russia. Adesso si sentono traditi e non sanno cosa fare. Gli stessi occidentali non sanno letteralmente come uscirne, salvando la faccia. Trump può fare tutte le dichiarazioni che vuole, può anche staccarsi dalle intenzioni degli statisti europei più sciagurati, che vogliono continuare la guerra, ma non può pretendere che Mosca si pieghi alla sua volontà.

Putin non è entrato in guerra a cuor leggero: ci ha pensato otto anni prima di farlo, poiché credeva negli Accordi di Minsk. Le condizioni dell’operazione militare speciale erano state fissate chiaramente sin dall’inizio, e non sono ancora state adempiute tutte, e non lo saranno finché l’occidente, quindi inclusi gli USA, non smetterà di sostenere la giunta di Kiev. Trump ha ragione solo su una cosa: se Zelensky non accetterà la resa incondizionata, perderà l’intero Paese. Solo che non lo perderà fra tre anni, ma molto prima.

A Putin non può interessare minimamente che Trump voglia una pace affrettata, non avendo gli USA più soldi da spendere per questa proxy war. Personalmente non credo neppure che auspichi una rimozione violenta di Zelensky ad opera di qualche killer pagato dalla CIA. Piuttosto è il popolo ucraino che deve convincersi d’aver sostenuto un regime che di democratico non aveva assolutamente nulla. Questo perché, per avere una propria sicurezza esistenziale, non può bastare alla Russia che l’Ucraina non entri nella NATO o sia smilitarizzata o il governo sia denazificato. Gli ucraini devono capire che non è in nome della russofobia che si può costruire la fiducia reciproca. E non devono neppure pensare che, siccome han perso la guerra, saranno costretti ad accettare la democrazia.

25 apr 2025

 

La Cina è molto vicina, anzi è dentro


Proviamo a chiedere all’intelligenza artificiale Overview quali siano le principali aziende italiane acquistate o partecipate dai cinesi. Ecco la risposta, che riguarda solo le aziende più note a livello nazionale:

- Pirelli: partecipazione del 45% acquistata da ChemChina.

- Ferretti Yacht: acquistato dal gruppo Weichai.

- Buccellati: acquistato all’85% da Gansu Gangtai.

- Salov: (Olio Sagra e Filippo Berio), acquistato il pacchetto di maggioranza da Yimin.

- Ansaldo Energia (con sede a Genova): cessione del 40% di quote a Shangai Electric Corporation.

- Candy: acquisita dalla Hayer.

- Krizia: acquisita da Shenzhen Marisfrolg Fashion C.

- La multinazionale cinese StateGrid ha una significativa quota del 35% nella finanziaria delle nostre reti energetiche elettriche – Cdp Reti S.p.A. – che controlla Snam, Terna, Italgas.

- La People’s Bank of China (Banca centrale) controlla quote di Eni, Tim, Enel e Prysmian.

- Altre grandi imprese italiane con quote detenute dai cinesi sono Intesa San Paolo, Saipem, Moncler, Salvatore Ferragamo, Prima Industrie.

IlSole24ore” nel 2020 scriveva che a fine 2019 risultavano direttamente presenti in Italia 405 gruppi cinesi, di cui 270 della Repubblica Popolare Cinese e 135 con sede principale a Hong Kong, attraverso almeno un’impresa partecipata. Le imprese italiane partecipate da tali gruppi erano in tutto 760 e la loro occupazione era di poco superiore a 43.700 unità, con un giro d’affari di oltre 25,2 miliardi di euro.

Secondo i dati del Registro delle Imprese, 50.797 imprenditori sono nati in Cina, di cui quasi 20.000 sono attivi nel commercio e 17.000 nel manifatturiero. Ci sono poi oltre 7.000 imprese dell’hotellerie e ristorazione, e oltre 4.000 nei servizi alla persona.

Ora stanno pensando di comprare i porti di Taranto, di Brindisi e di Gioia Tauro.

E questi sono dati vecchi. Servono solo per farci capire che la penetrazione economica cinese in Italia è irrefrenabile, in aumento continuo e senza eccezioni: per i 4/5 avviene nelle regioni settentrionali.

Non solo, ma spesso tali cessioni o acquisizioni o partecipazioni si svolgono in maniera schermata, tramite società aziende fondi d’investimento italiani o stranieri. Non ci vogliono spaventare. Per es. il fondo sovrano cinese China Investment Corporation realizza i propri investimenti in Europa prevalentemente attraverso alcune catene societarie di diritto lussemburghese.

Pensare di poter fermare questi processi capitalistici con minacce dazi ritorsioni, come pretende di fare Trump, è la cosa più ridicola di questo mondo.


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I latini dicevano, con un certo cinismo, “mors tua vita mea”. Sta diventando anche il motto dei cinesi, visto che la politica daziaria di Trump contro i propri partner commerciali in Europa può facilmente creare un’opportunità strategica per soppiantare in toto l’egemonia americana.

È vero che i cinesi sono già abbondantemente presenti in Europa, ma non con le loro merci più prestigiose, tecnologicamente avanzate, non nei nostri porti con la loro Nuova via della seta. Questo perché ne abbiamo paura sul piano concorrenziale. Lo vediamo già adesso coi loro discount, coi loro centri commerciali. I prezzi che hanno su tantissimi prodotti fanno chiudere i negozi locali. E non è che assumono personale autoctono: le commesse sono sempre cinesi che hanno imparato la nostra lingua. Non dicono più glazie, plego. Quindi non solo si chiude baracca e burattini ma si resta anche disoccupati.

I cinesi non sono come gli altri immigrati. Vengono da noi che i soldi li hanno già. E non fanno solo i commercianti di successo per gente che sulla qualità si accontenta, ma fanno anche gli artigiani e i ristoratori. E se certe aziende gli vanno a genio, se le comprano.

Si muovono in silenzio, con un profilo basso, ma in maniera costante, progressiva, lavorando duramente. E poi aumenta anche la qualità delle merci e se certe cose non le troviamo nelle nostre città, usiamo le loro app. Temu recapita le proprie merci nell’ufficio postale più vicino a casa nostra.

Siamo consapevoli di favorire il fallimento delle nostre aziende o dei nostri negozi o la loro acquisizione da parte dei cinesi, ma se i soldi non ci sono per colpa dei nostri governi, che somigliano sempre più al figliol prodigo, che alternative abbiamo?

È inutile che Trump ci minacci di non stabilire rapporti commerciali coi cinesi. Questi processi sono irreversibili: non riusciremmo a fermarli neanche usando le atomiche.

Ci stanno dando una lezione di vita, che noi occidentali avevamo dimenticato: non si può vivere di rendita, sfruttando il lavoro altrui o acquistando titoli azionari, obbligazionari, o rinunciando a certi lavori troppo faticosi, poco remunerativi. La vita non è uno scherzo, è anzitutto sacrificio. Non è possibile vivere al di sopra delle proprie possibilità. E vedere che i nostri politici al governo elaborano di continuo politiche economiche a debito, fa venire un gran nervoso. Ora poi che vogliono investire buona parte del PIL e persino i nostri risparmi privati negli armamenti il nervoso diventa davvero molto grande.

 

Vivere a debito


L’America d’oggi è la rappresentazione del capitale fittizio: il dollaro funziona come valuta di riferimento del sistema internazionale dei pagamenti finché mantiene la fiducia nei suoi confronti.

Tuttavia la fiducia si dà alle cose serie e col Trump di oggi si fa molta fatica, che un giorno dice una cosa e il giorno dopo l’opposto, come se non fosse lui in persona a parlare, ma gli interessi che lo affiancano.

C’eravamo già accorti dei bluff colossali degli Stati Uniti in altre occasioni. Dapprima collegarono la convertibilità del dollaro all’oro, costringendo gli altri Paesi a collegare le loro monete al dollaro. Poterono far questo poiché si era capito chiaramente che gli USA avrebbero vinto la seconda guerra mondiale, senza subire in patria alcun vero danno. Anzi, sarebbero stati loro a finanziare la ripresa economica degli Stati europei semidistrutti.

Poi, quando loro stessi si accorsero che per sostenere le guerre successive al secondo conflitto mondiale, occorrevano ingentissimi capitali (si pensi solo alle guerre di Corea e del Vietnam), ecco che ci ripensarono, e decisero che il dollaro era meglio collegarlo al petrolio, visto ch’era una materia prima molto più diffusa e usata dell’oro e visto che in Medioriente gli USA avevano saputo efficacemente sostituirsi a Francia e Gran Bretagna, considerati “imperialisti” dal mondo arabo.

A partire dal 1971 iniziarono praticamente a vivere di rendita, in quanto tutti i Paesi industrializzati del mondo avevano bisogno del petrolio per svilupparsi.

Di questi improvvisi voltafaccia, in base ai quali gli USA pensano solo ai loro interessi nazionali, in barba a tutti i rapporti di fiducia con altri Paesi, e a tutte le alleanze commerciali e militari, ne abbiamo visti parecchi.

Durante la crisi dei mutui subprime del 2008 venne alla luce un immenso “schema Ponzi”, che non fu pagato solo dagli americani, ma anche dall’intero pianeta (tutte le banche si riempirono di “titoli tossici”, che non valevano nulla).

Quando uno Stato permette alle banche di emettere prestiti superiori alla consistenza dei loro depositi, vuol dire che si sta creando capitale fittizio. Quando uno Stato o una Banca centrale salva le banche in procinto di fallire, emettendo banconote come se fosse una tipografia, vuol dire che la ricchezza è puramente illusoria e altre bolle potrebbero scoppiare negli anni a venire.

Creare denaro dal denaro, grazie alla sua semplice circolazione, senza passare per la produzione di merci, può essere fatto solo da un Paese arrogante, che pensa di continuare a vivere di rendita e di continuare a dominare il pianeta sul piano militare. Queste pretese oggi vengono messe in discussione dai Paesi del BRICS+ e da tutto il Sud Globale. Gli USA han tirato troppo la corda e ora un capitombolo è inevitabile. La politica daziaria è un atteggiamento da disperati. Stanno facendo la parte dell’agrario feudale, cui la nascente borghesia toglieva il potere da sotto i piedi.


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Il debito funziona finché c’è circolazione di merci. Fu inventato dai mesopotamici (una delle prime società schiavistiche) per rispondere alle esigenze del lavoro della società e del commercio di materie prime come argento o legno. I babilonesi scambiavano i prodotti stipulando promesse di pagamento, delle proto-cambiali che fungevano da sostituto del denaro che veniva accettato nella misura in cui qualcuno lo garantiva.

Oggi tutti i Paesi sono indebitati e ogni Paese cerca di correggere questo processo scaricando sugli altri contraddizioni che così diventano mondiali. L’economia globale si basa su un debito che non è ripagabile, sul fatto che gli USA, come tutti gli altri Paesi, possono contrarre nuovo debito solo se qualcuno gli fa credito. Il rapporto debito globale/PIL supera il 300%.

Praticamente noi viviamo solo di debiti. Già alla nascita in Italia abbiamo 50.000 euro di debiti. Non c’è più alcuna responsabilità nei confronti del denaro. Possiamo fare qualunque progetto basato sul debito. Ogni giorno ci si chiede perché risparmiare quando i debiti sono diventati generalizzati, cioè riferibili all’intera popolazione nazionale e persino internazionale. È così che muore la fiducia tra le generazioni, quella che per es. tiene in piedi lo Stato sociale (pensioni, sanità scuola...).

A questo punto è evidente che, andando avanti di questo passo, l’unica vera alternativa al denaro diverrà il baratto: un bene contro un altro bene, il cui valore verrà deciso dall’uso, non dal mercato. Là dove c’è baratto, c’è valore d’uso non di scambio, e dove c’è valore d’uso c’è autoconsumo, e il mercato si riduce appunto al baratto.

Ma perché miliardi di persone possano fare autoconsumo, bisogna prima espropriare la terra a chi la usa come capitalista agrario. Poi, siccome sarà piena di veleni e supersfruttata, bisognerà riconvertirla. Insomma non sarà facile.

24 apr 2025

 

Ride bene chi ride ultimo


Trump si era divertito un mondo quando aveva detto a Zelensky, davanti ai giornalisti: “Non hai le carte per vincere”. Aveva dato sfoggio del fatto che è proprietario di alcuni casinò.

Ma sul piano commerciale ora è la Cina che gli dice: “Non hai le carte per vincere, datti una calmata”.

Infatti non c’è dubbio che le conseguenze dei dazi possono avere un certo peso per i produttori cinesi orientati all’export, soprattutto quelli delle regioni costiere che producono mobili, abbigliamento, giocattoli ed elettrodomestici per i consumatori americani.

Ma questi produttori sanno velocemente come regolarsi. Infatti la prima volta che Trump ha posto i dazi alla Cina è stato nel 2018. In quell’anno le esportazioni cinesi dirette negli USA rappresentavano il 19,8% dell’export totale della Cina. Ma già nel 2023 tale percentuale era scesa al 12,8%.

Entro il 2022 gli USA facevano affidamento sulla Cina per 532 categorie di prodotti chiave, quasi quattro volte il livello del 2000, mentre la dipendenza della Cina dai prodotti statunitensi si era dimezzata nello stesso periodo.

La Cina domina la catena di approvvigionamento globale delle terre rare, fondamentale per l’industria militare e high-tech, fornendo circa il 72% delle importazioni statunitensi di questi minerali.

La Cina mantiene anche la capacità di prendere di mira settori chiave dell’export agricolo statunitense, come pollame e soia, fortemente dipendenti dalla domanda cinese e concentrati negli Stati a maggioranza repubblicana.

I dazi praticamente avevano e ancora adesso hanno spinto il Paese ad accelerare la sua strategia di espansione della domanda interna, liberando il potere d’acquisto dei consumatori e rafforzando l’economia interna.

Hanno avuto la stessa funzione delle sanzioni nei confronti della Russia, le cui aziende hanno sostituito quelle che se ne sono andate. Inoltre hanno indotto a cercare nuovi partner commerciali.

Coi suoi dazi tariffe sanzioni embarghi crediti usurari l’occidente fa il bullo coi Paesi più piccoli, più deboli, ma con quelli più grandi e più forti trova solo un muro di gomma. Si mangia le mani per le occasioni perdute. Prepara delle ritorsioni di tipo militare, che però contro questi colossi lo metteranno al tappeto.

Noi siamo destinati a uscire dalla storia, proprio perché è la storia che vuole uscire da noi.


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Nel 2024 l’export statunitense verso la Cina ha raggiunto i 143,5 miliardi di dollari, in calo del 3% rispetto al 2023. Le importazioni dalla Cina però sono arrivate a 438,9 miliardi di dollari.

Dunque chi è più forte? Chi produce di più con una fatica immane o chi si diverte a speculare sul piano finanziario?

Si noti che nel 2000 il deficit americano nella bilancia commerciale con Pechino era di soli 83 miliardi di dollari.

Rispondendo alla domanda di un giornalista nello Studio Ovale della Casa Bianca, Trump ha già dovuto ridimensionare le sue pretese dicendo: “Il 145% è tanto. Non sarà così alto... non sarà nemmeno lontanamente vicino a quel livello. Scenderà significativamente, ma non arriverà allo zero”.

Ancora però non ha capito che con un Paese come la Cina lo squilibrio commerciale non si risolve. Per non parlare del fatto che proprio tale squilibrio ha come contropartita il fatto che la Cina (come tanti altri Paesi) sostiene il dollaro, i prestiti bancari, i titoli di stato, il bilancio e persino le borse e tutte le rendite parassitarie degli Stati Uniti.

Se Trump non si dà una calmata, la guerra commerciale si trasformerà in guerra militare, e questa volta, in maniera inedita, gli USA sperimenteranno distruzioni e devastazioni all’interno dei loro stessi confini.


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Visto che sul piano diplomatico l’intero occidente collettivo è piuttosto carente, o perché sostiene acute guerre commerciali, o perché non vuole concludere le due guerre militari in corso (quelle condotte dai due regimi dittatoriali di Kiev e Tel Aviv), siamo costretti a porci la seguente domanda: perché mai la guerra dovrebbe rappresentare un orizzonte di soluzione delle crisi generate dal capitale, che sostanzialmente sono dovute a una caduta del tasso di profitto?

Qui le risposte da dare potrebbero essere almeno quattro:

1) la guerra si presenta come una spinta non negoziabile a investimenti massivi, che possono rilanciare un’industria esangue. Grandi commesse pubbliche nel nome del “sacro dovere della difesa” possono riuscire a estrarre le ultime risorse pubblicamente disponibili per riversarle in commesse private. Di qui l’intenzione non solo di aumentare la quota del PIL riservata alla difesa nazionale, riducendo quindi quella destinata al Welfare, ma anche di usare i risparmi privati dei cittadini, depositati in banche e poste, per il riarmo europeo.

2) La guerra rappresenta una grande distruzione di risorse materiali, di infrastrutture, di esseri umani. Tutto ciò, che dal punto di vista del comune intelletto umano è una grande disgrazia, dal punto di vista dell’orizzonte di investimenti è una magnifica prospettiva. Infatti si tratta di un evento che “ricarica l’orologio della storia economica”, evitando quella saturazione di investimento micidiale per le sorti del capitale, bisognoso di autovalorizzarsi di continuo. Dopo una grande distruzione si riaprono praterie per investimenti facili, che non hanno bisogno di alcuna innovazione tecnologica: strade, ferrovie, acquedotti, case, e tutto l’indotto di servizi. Non a caso i grandi capitali cercano già ora di accaparrarsi le commesse per la futura ricostruzione, prima ancora che le guerre finiscano. La più grande distruzione di risorse di tutti i tempi – la seconda guerra mondiale – fu seguita dal più grande boom economico dagli inizi della rivoluzione industriale.

3) I grandi detentori di capitali finanziari non hanno paura di perdere il loro potere quando vi sono in atto delle guerre, a meno che non vengano espropriati da rivoluzioni popolari, che però in occidente mancano da un pezzo. Il denaro, avendo natura virtuale, rimane intoccato da qualunque grande distruzione materiale (purché ovviamente non vi sia un annichilimento planetario, ma nessuno vuole una soluzione finale del genere).

4) La guerra sembra avere il potere di congelare o arrestare tutti i processi di potenziale rivolta, tutte le manifestazioni di scontento dal basso. La guerra è un potente meccanismo per disciplinare le masse, ponendole in una condizione di subordinazione da cui non possono uscire, pena l’essere identificati come “complici del nemico”.

Per queste ragioni l’orizzonte bellico, per quanto al momento lontano dagli umori predominanti nelle popolazioni europee, è una prospettiva da prendere sul serio. Non dobbiamo pensare che una guerra possa scoppiare dall’oggi al domani. Ci vuole un certo tempo per attuarla, e non bastano né le armi né gli uomini. Ci vuole una propaganda convincente per le popolazioni che non saranno in prima linea, ma che dovranno comunque subire pesanti conseguenze.