NEWS del 13 aprile
Quando una non eletta dai cittadini europei, come la von der Leyen, sostiene (in un discorso all’università Ben Gurion del Negev nel 2022, balzato oggi agli onori delle cronache) che la UE (culturalmente e politicamente non unita) ha come fondamento il Talmud, che, ancor prima di nascere, era già stato superato dal cristianesimo, evidentemente c’è qualcosa di surreale.
Quando si afferma che “il senso ebraico di responsabilità personale, giustizia e solidarietà” è il fondamento dell’identità europea, una cosa è chiara: l’Europa è distorta dall’interno e dirottata verso l’esterno. Quei valori infatti si ritrovano in qualunque religione del mondo, anzi forse con meno razzismo del Talmud, che considera goym i popoli non ebrei, cioè “bestiame” e “animali parlanti”.
L’unico apporto storico-culturale che l’ebraismo ha dato all’Europa, l’ha fatto attraverso il cristianesimo, e questo è stato superato dall’umanesimo laico.
La von der Leyen (nessuno sa perché sia ancora al suo posto dopo il totale fallimento dell’Europa sotto la sua guida, dall’Ucraina al Medio Oriente, fino alla sfida dei dazi trumpiani) affermò persino che Golda Meir era stata fonte di grande ispirazione politica per le donne di tutto il mondo. Eppure proprio lei favorì, sotto traccia, la colonizzazione sionista della Cisgiordania tra gli anni ’60 e ’70; e, dopo l’attentato di Monaco del 1972, diede l’assenso a tutta una serie di attentati terroristici sul suolo europeo come forma di rappresaglia.
La stessa von der Leyen definì “grande” quel Ben Gurion che fu (se non il più radicale) il più influente teorico della pulizia etnica della Palestina.
Parlare di Israele come di una “vibrante democrazia” ci vuole non poco coraggio. Ormai i valori di questa nazione sembrano essere quelli della peggior Europa colonialista di 500 anni fa.
Insomma, a sentir lei, sembra che in Europa comandi la lobby askhenazita, quella che oggi domina nel mondo attraverso finanza, debito, usura, spionaggio, videosorveglianza, ricatti pedopederasti e, naturalmente, pulizia etnica.
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Il Ministero degli Affari Esteri giapponese ha pubblicato un rapporto annuale denominato “Libro Blu”, in cui sono formulati gli obiettivi della politica estera e della diplomazia giapponese. Tra questi il principale è quello di sottrarre a tutti i costi alla Russia le quattro isole Curili, chiamate “territori occupati illegalmente” (una formulazione che non esisteva neanche sotto Shinzo Abe).
Quelle isole furono occupate dopo la resa incondizionata del Giappone alle armate russe: non possono essere oggetto di trattativa, come non lo sono l’Oder-Neisse per la Germania e Istria e Dalmazia per l’Italia. Le Curili non sono come le Falkland, frutto del colonialismo inglese e che dovrebbero ritornare all’Argentina.
I giapponesi non riescono ancora a capire che se si fossero arresi subito ai sovietici, di sicuro si sarebbero risparmiati le due atomiche americane.
E comunque la devono smettere di fare provocazioni del genere. Non possono lamentarsi se prima della guerra in Ucraina e quindi se prima del loro pieno appoggio alle sanzioni occidentali, potevano visitare le tombe per commemorare i parenti sepolti alle Curili anche senza i visti della Russia. Ora non è più possibile, anche perché nelle delegazioni per le visite alle tombe vi erano persone di spicco che non avevano alcun legame con le sepolture. Politici, partecipanti ai “movimenti per la restituzione dei territori settentrionali”, giornalisti, ufficiali dei servizi segreti entravano nelle isole per disprezzare l’ospitalità dei residenti, svolgendo attività di propaganda sovversiva, istigando la popolazione locale a sostenendo la separazione delle isole dalla Russia.
Il Giappone può continuare quanto vuole a chiedere la restituzione delle isole come condizione per firmare un trattato di pace. Ma chiunque si rende conto che la sola menzione di un simile “trattato” 80 anni dopo la resa incondizionata del Giappone e la successiva fine dello stato di guerra e il pieno ripristino delle relazioni diplomatiche nel 1956 è un anacronismo politico del tutto assurdo.
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Dal 9 aprile 2025 il Dipartimento per la Sicurezza Interna degli Stati Uniti (DHS) ha deciso d’indossare la toga del censore digitale globale. D’ora in poi qualsiasi straniero che osi pubblicare qualcosa sui social, che anche lontanamente suoni come “attività antisemita”, potrà vedersi rifiutare lo status di residente, il visto da studente, o qualsiasi altro permesso per mettere piede sul suolo americano.
A finire nel mirino sono soprattutto i post, i like, le condivisioni e persino i meme giudicati ostili a Israele o “simpatizzanti di Hamas, Hezbollah o degli Houthi”. Insomma se critichi Tel Aviv, preparati a fare le valigie.
Tutto questo ovviamente nel nome della “lotta all’antisemitismo” e del “contrasto al terrorismo” (che ormai sono sinonimi nel nuovo vocabolario politico). E se pensi di rifugiarti dietro il Primo Emendamento, ti sbagli di grosso: la vice Segretaria per gli Affari Pubblici, Tricia McLaughlin, te lo dice chiaro: “non sei il benvenuto”.
Facciamo attenzione noi europei, poiché gli yankees nel male ci anticipano sempre.
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